La riflessione che vorrei fare oggi riguarda una parte secondo me molto importante nel percorso di recupero di una persona, recupero di qualsiasi tipo: fisico, psichico, emotivo ecc… Il mio campo elettivo di lavoro si basa certamente sul recupero fisico, ma come ormai detto tante volte non è possibile scindere un individuo umano in parti completamente indipendenti una dall’altra, senza considerare le infinite interazioni che si verificano tra le infinite parti che compongono l’essere umano: il percorso fisico è inevitabilmente legato a un percorso della propria parte emozionale e più ampiamente psichica. Per chiarire meglio questo concetto mi piace fare riferimento a una realtà ormai acclarata anche dalla fisica quantistica: non voglio assolutamente propormi come un esperto in merito, tutt’altro, ma alcuni concetti base di questa materia sono davvero funzionali alla vita quotidiana. Ebbene secondo la fisica dei quanti non è possibile considerare il comportamento di un insieme di elementi di qualsiasi natura unicamente come una somma matematica degli elementi stessi, ognuno con un comportamento indipendente dagli altri. E’ necessario invece rendersi conto che questa somma rappresenta una realtà diversa da ognuno dei suoi componenti, una realtà nuova, sia nella essenza che certamente nel comportamento. Ecco perché è davvero rischioso considerare un osso, un orecchio o un occhio ad esempio come una entità avulsa dal complesso in cui questa stessa entità è inserita, cioè dal corpo in cui essa si trova quotidianamente ad interagire con tutte le altre infinite componenti. E’ intuitivo perciò che una disfunzione in un distretto abbia delle ripercussioni su tutto il sistema in cui questo distretto è collocato. Da qui ho sentito l’esigenza di confrontarmi e di collaborare costantemente con le figure professionali che si curano della parte più psichica e mentale delle persone, gli psicologi in particolare, perché proprio con essi nasce la interdisciplinarietà professionale indispensabile per mostrare alle persona un fatto incontrovertibile: “Non è possibile pensare di guarire nello stesso ambiente in cui ci si è ammalati”. Questa citazione attribuita al grande medico e alchimista Paracelso riassume perfettamente l’esortazione espressa dal nostro titolo: l’ambiente di cui si parla è inteso non solo come ambiente fisico, ma più ampiamente un ambiente costituito dalle relazioni, dal lavoro, dagli affetti talvolta disfunzionali, da tutte quello situazioni insomma che indipendentemente dalla nostra volontà attivano dei meccanismi di difesa arcaici che hanno come attore principale il nostro corpo. Ed ecco allora che il tal dolore, il tal deficit muscolare ( la cui valutazione per esempio è essenziale in un quadro chinesiologico), la tale malattia, se inseriti in una prospettiva globale trovano il loro significato, sono solo e unicamente dei programmi biologici sensati volti a mantenere la nostra sopravvivenza. Ciò non significa che non servano le cure, ma indica che esse da sole non sono sufficienti senza associarvi il cambiamento delle condizioni biologiche che hanno portato a quella determinata situazione “patologica”. Diventa quanto mai sensata l’esortazione che mi capita spesso di fare, inerente allo “spostarsi da dove si è”!!!! Rimanendo in una situazione disfunzionale la cura del sintomo e in generale del corpo è senz’altro depotenziata. Per concludere mi capita spesso di sostenere una realtà banale ma innegabile: il nostro corpo, a livello delle reazioni arcaiche e non governate dalla razionalità, non capisce cosa siano le bollette da pagare, il mutuo, i sensi di colpa ecc…… se il corpo non si sente bene in una situazione ha come unica soluzione lo spostarsi da essa. A noi sta l’individuazione della strategia per realizzare questo spostamento.
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