
A volte mi trovo a chiedermi se queste riflessioni che ho deciso di condividere sul mio blog siano davvero adeguate per il profilo professionale che mi appartiene. A volte temo di travalicare quello che chiamerei “il mio seminato”, nel senso che forse dovrei parlare prettamente di riabilitazione, di tecniche di mobilizzazione vertebrale e così via. Poi però mi dico che in effetti io, così come tutti gli altri esseri umani a me contemporanei, mi trovo a vivere in un momento storico forse unico, forse caratterizzato da valori o spesso disvalori che minano alla base la validità del momento stesso. E allora sento che è responsabilità individuale e di ognuno di noi mettersi in gioco, rivelarsi per come effettivamente si è e per quello che effettivamente si pensa e soprattutto si prova. In momenti di grande stravolgimento non si può rimanere chiusi nel proprio guscio, celandosi un po’ dietro la convinzione che “io faccio il mio, quello per cui ho studiato e di tutto il resto mi disinteresso, ci penserà qualcun altro”. Ecco quindi che penso sia doveroso spiegare e trasmettere non solo la competenza tecnica di cui si è depositari, ma ancor più come si intenda applicare questa competenza, con quali strumenti emotivi, energetici e Umani si abbia intenzione di procedere. Dal momento in cui ho deciso di praticare la mia amata professione per conto mio, senza più l’ombrello protettivo di una grossa struttura sanitaria, ho avuto l’esigenza di riuscire a far collimare il mio modo di lavorare col mio modo di essere. Mi capita spesso infatti di sostenere che il mio lavoro quotidiano non sia solo una modo per sbarcare il lunario e/o per svolgere un ruolo sociale, bensì sia una maniera d’essere. Dal momento che credo fermamente in quello che faccio e in come lo faccio, non mi è stato possibile discernere dove arrivasse il Francesco lavoratore e dove partisse il Francesco essere umano. Per essere più chiaro, io sono profondamente convinto che lo svolgimento della propria professione debba essere intimamente legato al proprio modo di essere. Non faccio assolutamente fatica ad affermare che certamente nel mio ambiente ci sono persone molto più esperte e preparate di me, ma che talvolta capita che abbiano messo un po’ in surgelatore il proprio cuore. Da quando ho iniziato a praticare la mia professione mi sono da subito reso conto che la parte costituita dal rapporto umano con le persone è irrinunciabile. Il tempo che dedico al dialogo ( che deve essere veramente tale, uno scambio equo di idee, emozioni e impressioni tra due persone, ben diverso da un monologo pieno di nozioni e vuoto di ascolto…) è tempo di qualità. L’empatia con il nostro prossimo è una dei modi di prendersi cura dell’altro più potenti ed efficaci. Il valore di un tocco eseguito con delle mani consapevoli può regalare una sensazione di accoglienza e amore impareggiabili. Gli esempi in merito potrebbero continuare ancora a lungo, ma ciò che ho desiderio di trasmettere è che tutto questo bagaglio di accoglienza, amore, supporto e sostegno umano siano prerogative assolutamente tipiche degli esseri umani e se vogliamo degli esseri viventi in toto. Io non riesco ad immaginare un Essere Umano sostituito da un macchinario, magari dotato della più sofisticata IA, come va di moda chiamare oggi giorno questo surrogato di intelligenza umana. Ascolto spesso le persone ben più grandi di me ricordare con nostalgia e con un filo di rimpianto come fosse più serena e più autentica la vita un po di anni fa, quando non eravamo così tanto “avvantaggiati” da questa tecnologia onnipresente e invadente, ma quando un contatto umano, il valore di uno sguardo o di una parola proveniente sinceramente dal cuore avevano la capacità di migliorare veramente la vita di una persona, fosse anche per un attimo soltanto. Guardando la mia vita professionale, e cercando con impegno di mettere in pratica almeno parte delle cose qui dette, devo ammettere che mi sento fortunato: fortunato a possedere la volontà e l’intimo desiderio di recuperare, mantenere e potenziare i famosi valori umani, talvolta bistrattati e considerati un ostacolo all’inarrestabile progresso da cui non si può scappare. Ben venga quindi tutto il tempo che sento di dedicare all’ascolto delle persone, ben venga la certamente scarsa produttività economica del mio tempo lavorativo, sacrificata con lo scopo di instaurare anche un rapporto umano con chi si rivolge a me nel mio studio, ben vengano tutte quelle pratiche che poco hanno a che fare con la fredda tecnicità, ma che spesso sono molto più accoglienti con chi ha bisogno.
Comments